Giorgia ed io siamo in sala d’attesa da un pò di minuti ormai; è mattina presto, il cielo si sta schiarendo ma qui dentro la luce asettica del neon da un’aria irreale ai mobili della stanza; anche i nostri visi sembrano pallidi e smunti; gli strumenti collegati per ascoltare il battito producono un suono che risulta metallico e sporco; nostro figlio sta per venire alla luce in un mondo che sembra un’astronave di un film anni settanta.
E di colpo, la natura fa il suo corso.
I battiti si fanno regolari e stabili; siamo sui 118, 120 al minuto. Ad un tratto cominciano ad aumentare lentamente, in 30 secondi si portano a 130, 135 per dieci secondi e poi calano altretttanto lentamente; e dopo un altro minuto come per incanto cominciano le spinte, e durano 50 secondi.
La magia si ripete per circa un’ora con impressionante regolarità; alla nascita di Bianca Maria non me ne ero accorto e rimango stupefatto.
Pasano sette minuti e di nuovo il rituale si compie; è Enrico che si annuncia alla vita: 118, 120, lenta accelerazione fino a 130 per dieci secondi e poi si cala; mi preparo a sostenere Giorgia ad assecondare il dolore delle spinte, ma non posso non rimanere incantato dalla assoluta regolarità dell’evento.
Regolari ome un’onda del mare.
Puntuali come gli uccellini che tornano a cinguettare a primavera.
Regolari come il respiro di Bianca che si addormenta sulla mia spalla.
Puntuali come la nostra magnolia in giardino.
Le spinte diventano più forti; stringo la mano a Giorgia ma è lei che la stringe a me con vigore.
E’ passato nemmeno un’ora di travaglio e sembrano le spinte decisive; d’improvviso si fanno più forti, si comincia a vedere la testolina, ha già i capelli. Le ostetriche sono decise, la prossima deve essere quella buona; un’ultima fortissima spinta, ed ecco il corpicino che salta fuori, un gomitolo morbido e scattante, una piccola tarantola che si muove, strilla e con quel piccolo pisellino subito inonda il letto di pipì.
Sono arrivato! sembra voler dire.
Mi sgorgano le lacrime e lo sguardo si annebbia; incrocio per un attimo gli occhi dell’infermiera e sostengo il suo sguardo; chissà quanti ne avrà visti di uomini piangere e commuoversi in situazioni come questi; non me ne vergogno, sono soppraffatto dall’emozione, abbraccio Giorgia ed alla fatidica domanda non abbiamo dubbi; si chiamerà Enrico.