Le mie letture ferragostane sono piene di libri di montagna: mi fanno evadere e sognare nuove cime…
Così non è accadutto certo per “Giorni di ghiaccio” di Marco Confortola; scritto a seguito della tragedia del K2 del 2008 dove persero la vita 11 alpinisti, sembra più uno sfogo personale, una giustificazione del proprio comportamento.
Si leggono i primi capitoli quasi nervosamente, sperando di arrivare cinicamente al dunque, al succo del discorso; c’è un senso dell’orrido in tutti noi, vogliamo sangue e morte, eroi da ammirare e vili da denigrare; Confortola enumera i perché ed i percome lo hanno portato a fare la scelta della montagna. Non c’è poesia, non c’è eroismo, non c’è il racconto delle sue ammirevoli imprese; mi ricordo nel 2005 feci una sosta al rifugio Pizzini, di fronte alla nord del Pasquale; nella sala campeggiava una foto di Confortola che l’aveva scesa con gli sci; arrivato poi in cima al Pasquale e guardando giù, pur con le condizinoi perfette della neve desistii dall’affrontarla; se l’aveva fatta lui non era certo roba per me.
Poi il libro continua con il racconto della salita al K2; pur con tutto il rispetto dovuto, ci si domanda ancora una volta il senso di queste imprese; arrivare in cima a notte fonda, rischiando parecchio, essere non coscienti delle proprie scelte, in balia degl eventi, perdere le dita dei piedi (Confortola è poi tornato all’alpinismo lo stesso, comne Messner del resto), finire scortato al campo base senza riuscire a camminare…. ha senso?
Lungi da dare giudizi posso dire che questo alpinismo non mi piace più.
Vivere un’intera vita con la passione per la montagna e con il sogno di “cacciare Ottomila” giustifica anche l’esasperazione dei propri comportamenti. Confortola sapeva che se non fosse arrivato in vetta non sarebbe mai più (o difficilmente) potuto tornare, dunque ha tentato il tutto per tutto. Lo capisco. Imprese estreme richiamano comportamenti estremi. I tempi di Buhl, Bonatti e Terray (ma anche di Messner) erano diversi: le imprese erano ancora scritte solo nei sogni e i protagonisti venivano da storie personali lontane da quelle attuali. Oggi si parte da molto “più avanti”, con basi diverse e mentalità moderne che proiettano inevitabilmente verso una forma di competitività cui è molto, molto arduo sottrarsi. Bene? Male? Io credo che ognuno abbia il diritto di inseguire i propri sogni con tutti i mezzi che la vita gli mette a disposizione.
A patto che ci si prenda la responsabilità di questo, verso se stessi e verso gli altri.
Grazie per i ltuo commento.
Il mio discorso è legato ad un certo eroismo masherato da lavoro; tanti di questi alpinisti ormai fanno di queste imprese, di questa passione un lavoro.
Giustamente in una società sempre più competitiva hanno bisogno di spostare sempre più in su l’asticella da saltare.
Il fatto che poi si cada, una volta superata l’asticella è un problema che tutti devono considerare.
Per quanto mi riguarda poi preferisco a volte tornare indietro; i sogni sono belli proprio perché sono sogni.
Guarda, condivido appieno il tuo pensiero. Anch’io una volta mi cimentai col salto in alto e, sopostata l’asticella più in su, capicollai irrimediabilmnete a terra. Da quella volta salto senza asticella…
Grazie Stefen per il tuo contributo.
E a proposito di salti ti ricordo un umile proverbio delle nostre valli:
“La fam la fa far salti, ma l’amor ancor pu alti!”