La Marcialonga è una gara dal fascino incredibile, che si merita tutta la fama che ha nel mondo scandinavo.
Pazienza per le polemiche (giuste secondo me, no è più tempo per fare eventi di questo tipo quando ogni inverno è sempre più siccitoso) dovute alla festa del cinquantesimo in via Belenzani a Trento, innevata per l’occasione grazie alla neve artificiale portata a vale da 10 camion per creare un percorso intorno alla fontana del Nettuno in piazza Duomo. Il popolo dei fondisti si è ritrovato compatto alle sette di mattina a Moena per la partenza, accolti da temperature tipiche da giorni della Merla e da un mabiente veramente invernale.
Al via, dopo aver approfittato della cortesia di Roberta che ci ha fornito alloggio e cena pre-gara e trasporto in loco da parte del babbo fondista (ex primo gruppo della Marcialonga, mica uno qualsiasi!), siamo un folto gruppo di novizi, tutti triatleti della BCN triathlon.
C’è un via vai pazzesco di persone, tutti che cercano un amico, gli sci sciolinati dall’organizzazioen, qualcosa di aldo; per un po’ non sembra freeddo, ma la aprtenza viene continuamente ritardata e i 10 gradi sottozero si fanno sentire e cominciano a mordere i polpacci, le mani e soprattutto i piedi, a contatto con la neve. Siamo tutti nella penultima griglia, io sono il 5983 e i lvia che doverbbe essere alle 8:50 viene dato mezzora dopo. Il perché è presto detto: dopo circa un chilometro dal via, in verità abbastanza scorrevole nonostante la folla, ci troviamo tutti imbottigliati in centro a Moena dietro la caserma della Polizia; siamo tutti fermi mentre alcuni, accolti da fragorosi fischi, cercano di dribblare l’ingorgo togliendosi gl isci e camminando fuori da l percorso; dopo circa 20 minuti capiamo il perché: una piccola discesa di 30 metri dove, si sa e sarà il motivo della gara, i fondisti scendono uno a uno per paura di cadere. Una innocua pendenza che andrebbe affrontata a uovo nel binario viene distrutta dallo spazzaneve rigido di fondisti non proprio avvezzi alla velocità. Pazienza, partendo indietro senza ranking succede anche questo, e più dietro si parte meno i fondisti sono dotati di abilità fisiche e tecniche.
Passato l’impiccio comincio il recupero, pensando che l’obbiettivo delle 5 ore è già svanito; purtroppo comincio ad avvertire che anche nel tratto in salita verso Canazei la scelta dello sci con le pelli non risulta vincente; riesco a superare sì ma con gran fatica, mentre mi affiancano alcuni dei numeri alti come il mio ma con sci super veloci: una spinta e via, li perdo subito. Mi armo di santa pazienza e sorpasso dopo sorpasso, saltando anche i ristori, arrivo a Canazei in 1h e 53′, troppo per i miei propositi. All’entrata del paese un bambino mi indica alla madre dicendo: “Guarda! Ha la barba tutta ghiacciata!“.
Capsico allora di essere definitivamente diventato un bisonte, essere mitologico metà uomo e metà fondista.
I primi km dopo il giro di boa mi risollevano il morale: ambiente fantastico da grande nord, pista perfettamente battuta nonostante gli oltre 5000 passaggi, alberi carichi di neve e temperature artiche; si vola finalmente con km che scorrono veloci sotto gli sci, anche se su pendenze lievi noto con dispiacere che gentili signore che pesano 20-30 kg in meno mi staccano in discesa!
Nuovo blocco all”entrata di Moena, a Soraga; una discesa di per sé abbastanza innocua obbliga tutti a scendere uno per uno, e la salita prima ci vede salire a scaletta con grandi pause; ne approfitto per bere e mangiare, anche se la borraccia è tutta ghiacciata.
Da Moena a Predazzo ancora bei ritmi; si continua a sorpassare da un binario all’altro: è incredibile come in presenza di due o tre binari fondisti che vanno allo stesso ritmo si dispongano affiancati, cosicché per sorpassarli occorre inventarsi acrobazie tra di loro (chiedendo sempre permesso, pardòn in franco-inglese) oppure al di fuori della pista con il rischio di finire nell’Avisio. In una leggera discesa trovo un signore irrigidito in un improbabile spazzaneve con i bastoncini aperti; in tutto saranno 5 metri di apertura alare, impossibile passare. Da dietro gli dico: ” Calma, lasciali andare!”. Non l’avessi mai fatto: è bastata una piccola perturbazione (il famoso battito d’ali di una farfalla…) per farlo cadere gambe all’aria; finendo gli dico di stare fermo per provare a infilarmi in 20 cm tra lui e l’Avisio, ma comincia a sgambettare per rialzarsi e mi infila un bastoncino tra le gambe (brrrr….. pensa se mi avesse trafitto un polpaccio!) facendomi capottare! Mi rialzo senza dire nulla e scappo via.
E’ proprio questo il problema della partenza dalle retrovie: tutti giustamente vogliono fare la propria gara, ma sembrano in difficoltà e quando cerchi di sorpassarli anche annunciando che passi a destra o a sinistra sembrano irrigidirsi oppure offendersi; in fondo a una lieve discesa ho affiancato un finnico dicendo che passavo a sinistra e lui ha cercato di chiudermi senza riuscirci, mandandomi dietro una serie di improperi in italiano appena imparati presumo. Ancora scosso pensando di aver fatto chissà quale sgarbo alla sacra regola dello sport mi riappacifico con il mondo scandinavo grazie a un bel fondoschiena di una splendida ragazza svedese, che mi fa in complimenti per il ritmo che sto tenendo e che mi invoglia a rallentare per fare due chiacchere; mi racconta che la Marcialonga è la più bella gara di fondo che lei conosca per la storia e le persone che abitano i posti. Farò comunque fatica a seminare anche lei, visto ceh man mano che si scende verso valle la neve molla e gli sci sembrano sempre più lenti. Ho anche spostato l’attacco in dietro (novità super tecnologica dello sci da fondo che non conoscevo) per avere più velocità, ma senza notare benefici. DA Predazzo a Tesero è un calvario; la pendenza è quasi nulla e la neve veramente lenta; arrivato allo stadio del fondo per superare quel dosso a metà rettilineo che in Coppa del Mondo fanno di slancio mi sembra una montagna dalla stanchezza che si sta accumulando in braccia e gambe.
Arrivati a Masi di Cavalese si intravede la cupola della chiesa, il traguardo; purtroppo come spesso accade nelle gare il percorso fa un lungo giro verso Molina prima di rientrare per la famigerata salita della cascata. Sarà il tratto più duro, non per la neve ma per la stanchezza accumulata e la sensazione di allontanarsi dal traguardo, incrociando nel senso inverso fondisti come te dalle facce stanchissime. Finalmente si arriva a Molina, dove l’ultimo ristoro è provvidenziale; in breve si arriva alla temutissima salita; io grazie alle pelli non mi fermo a sciolinare e provo a dare il tutto per tutto: nonostante la pista distrutta e i numerosi gruppi riesco a passare abbastanza agilmente con un bel passo da scialpinista, chiudendo il percorso in 15 minuti netti (il primo uomo oggi 7 minuti, la prima donna, un fuscello norvegese di 40 kg, poco più di 10 minuti.
Ultima curva in paese e nemmeno mi accorgo di essere sul rettilineo finale, affrontato nel verso contrario al solito; ultime spinte e arrivo poco sopra le 5 ore e mezza, oltre un’ora in più rispetto al mio obbiettivo, alla posizione 2601.
Nel complesso posso ritenermi soddisfatto: ottima condizione fisica dopo due anni di patimenti vari tra tendine di Achille, polpacci infiammati, polso infortunato oggi non mi ha fatto male nulla, nemmeno la schiena per un movimento che non è proprio il mio. In effetti mi sono messo a sciare la vigilia di Natale, in un mese ho fatto circa 186 km in tutto! L’anno prossimo, se mi danno un pettorale decente, sotto i 3000 almeno, ci voglio riprovare!