Dopo la giornatona di ieri in Panarotta ero un po’ stanco e appagato; non solo i boci improvvisamente si erano appassionati al fuoripista (dopo averli sradicati dal letto a scopeloni, come diceva la nonna), seguendomi persino lungo i piloni della seggiovia del Rigolor, ma con il capitan Romanese ci eravamo anche gustati un Fravort pomeridiano.
Insensibili ai parecchi scialpinisti (o presunti tali, gente che evidentemente scia solo in polvere o su pista) incontrati che ci davano condizioni della neve addirittura orrende (sacrilegio! Non si parla così della neve!!), ci siamo gustati una simil crosta dalla cima con curve circospette ma piacevoli.
Ormai siamo a Marzo, e anche la neve nuova si trasforma subito; se poi c’è stato vento come nei giorni scorsi a sud non c’è gran che da aspettarsi.
Così la mattina, dopo aver riarrangiato la mia attrezzatura cicloscialpinistica alla rinfusa, sono partito alle sette con 0° C, ma con il sole che già faceva capolino. Arrivato a Migazzone il lago splendeva nella luce della primavera, e pensavo di essere già in ritardo. Pergine e i suoi abitanti erano già svegli e mi guardavano increduli dal parabrezza delle loro vetture, ma i bar no: nemmeno il bar Anna a Zivignago era aperto. Un must per noi, il caffè prima di salire in val dei Mocheni; purtroppo questa volta ho dovuto saltare
Per salire ho scelto la sinistra orografica del fersen in ombra; il freddo in bici non è un problema, il caldo porta a sudare troppo e a perdere liquidi; la strada è sempre bella, scorre tra mille masi a monte e a valle dai nomi todeschi, segno di una colonizzazione che qui ha messo radici.
Con la app OSMAND avevo provato a stimare il tempo di percorrenza: mi dava 1h 40′ e ci ho messo 1h 33′: ottimo test per futuri viaggi in bici, appesantito da 8 kg di zaino con sci, scarponi, pala artva, sonda, borracciia doppia e ricambi vari!
Al parcheggio mi aspettava il Lancia, quello della famosa ditta Leo&Lancia con un paio di nuovi missili ai piedi che gli avrebbero fatto fare mille piroette nella neve soffice; purtroppo dopo un po’ di minuti ho notato che la compa è un po’ troppo godereccia e avrebbe rallentato troppo il mio incedere da viandante cicloalpinistico: in questo genere di cicloavventure non posso perdere tempo e fermarmi, rischierei di raffreddarmi troppo . Li ho salutati e mi sono diretto da solo verso la Mut.
La Mut mi aspettava in condizioni splendide; ho seguito le tracce di chi mi aveva preceduto ma mi sono trovato su un ripido traverso in pieno sole dietro a tre della tribù degli scilarghi che salivano a 10 cm uno dall’altro, contrario a qualsiasi manuale scialpinistico. Un tempo per accedere a questo fantastico sport si faceva anticamera alla SAT, adesso basta il catalogo di Skialper per sentirsi dei fenomeni, e i discorsi sono concentrati sull’attrezzatura più che sul paesaggio e sull’itinerario da seguire.
In cima alla Mut ho trovato l’Alverà che prima mi aveva salutato strombazzando in auto; gli ho indicato la via di discesa verso i Prati Imperiali; io sono salito in cima per la gobba del Gronalit, in condizioni piuttosto ghiacciate. In cima ho trovato una simpatica combriccola multietà da cui mi sono fatto scattare la foto di rito.
In discesa ero indeciso se fare il canale diretto dalla cima: la neve non mi sembrava invitante e mi sono spostato verso la Mut, dove ho trovato un vallone ancora intonso.
Sono rientrato da Palù fino a trovare il mitico ZampaRob che si godeva la domenica mattina nel prato di casa sua; ho scroccato un aperitivo e mi sono rilassato al sole facendo due chiacchiere.
Che fatica rimettersi in bici; il cocktail dell’amico mi ha tagliato le gambe, e penso di aver realizzato il mio peggior tempo a risalire a Vigolo dal lago, fino a casa!
Con questa mi sa che si chiude la stagione; da oggi infatti entrano in vigore le restrizioni sul Corona virus e non si scherza più. Tutti a casa insomma, non solo per non veicolare il virus, ma per non esporsi a pericoli intasando il pronto soccorso.