“Pompa la musica oggi, eh?” faccio al giovane oste mentre bevo il thé caldo.
“Non capita tutti i giorni di sentire i Pearl Jam di domenica mattina” insisto.
“Per forsa – ribatte lui con una risata- sennò xe xe endormensa!”
Mitici i veneti, con la loro capacità di ribaltare tutte le nostre zeta.
Come potremo mai capirci noi e loro, se ci trasformano le zeta in esse? Prendiamo che so, su un argomento a scelta, prendiamo la Valdastico per esempio, pensa che casini verrebbero fuori, roba da traduttore simultaneo.
Gobba a destra e gobba sinistra noi, gobba a sinistra e gobba a destra loro.
Gobbe a punta noi, gobbe tonde loro.
Gente di montagna, abituata a soffrire sia noi sia loro; una volta c’era il confine e noi eravamo i crucchi e loro i taliani; ma ora? La minaccia viene da uno stato centralista che mangia risorse e che abbiamo tenuto lontano con la nostra autonomia, mentre i cugini veneti per anni hanno rosicato amaro vedendo i nostri milioni di Euro trasformati in impianti sciistici, strade, piste ciclabili. Dovremmo far fronte comune, la montagna dovrebbe proteggerci.
Approfondisco la conoscenza del giovane oste, perché mi sta simpatico con quel pizzetto cittadino e l’aria sbarazzina; mi racconta di come siano stati bloccati dalla neve per dieci giorni quest’inverno.
“Roba d’altri tempi!” faccio io.
“Certo, se non c’era il cingolato non saremmo usciti nemmeno sulla strada, e non saremmo arrivati nemmeno a Folgaria!”
Provo un po’ di invidia per non aver vissuto una situazione del genere, io che gli sci li uso più della bici, da novembre a giugno, ma solo per diletto.
“Senti, la strada sterrata che parte dal rifugio tra i prati scende a Base Tuono?” chiedo per sondare la sua conoscenza dei luoghi; e qui casca il palco; non conosce minimamente il posto che ho menzionato; non sa darmi indicazioni, non è mai stato nella malga 200 metri sotto e quando gli mostro la cartina non la sa nemmeno leggere.
Che delusione, non conoscere i propri vicini; roba da cittadini appunto, dove ti muore il dirimpettaio e lo sai dal giornale, sempre che tu ricolleghi la faccia vista nel necrologio a qulla che incontri in ascensore.
Al giorno d’oggi purtroppo è così; i nostri rifugi, alberghi in quota, sono pieni di gente da fuori, che non conosce nulla del posto in cui lavora, e quando ne trovi uno ti aggrappi alle sue parole sperando di trovare la saggezza che ti conduca alla tua meta.
Quello che sarebbe il maggior valore aggiunto del locale, quello per cui vale veramente la pena di fermarsi, ovvero la conoscenza dei luoghi, delle persone e dei fatti, non c’è più; si è persa nella ormai tristemente famosa globalizzazione; cameriere rumene che chiedono in cucina se nello strudel ci sono i pinoli o no, baristi che non sanno nemmeno cos’é il vin brulé e via dicendo. Del resto se i nostri giovani non vogliono più lavorare in posti simili (anche ai miei tempi ero una mosca bianca, a fare le stagioni per pagarmi la moto) ma preferiscono languere in città aspettando che qualcuno li assuma con la loro laurea in ScienzeDiQualcheCosa, cosa deve fare uno per far andare avanti un locale?
Mi avvio sconsolato lungo la strada asfaltata verso la Base Tuono, che fango, sterco e acqua ne ho presa abbastanza anche oggi, il tutto grazie a questa estate impazzita; qui, dopo un doveroso ricongiungimento famigliare ed un frizzante pic nic sulle rive del lago (artificiale) scopro che c’è ancora gente appassionata del proprio lavoro; la guida ci intrattiene per ben due ore parlandoci della base, facendo un sacco di rimandi alla storia contemporanea appena passata; veramente interessante, la visita vale la pena.