Nel ciclismo, come nello sport, non si inventa nulla!
Oramai c’è un livello tale che non bastano le gambe, ci vuole ben altro! Ci vuole materiale al top, alimentazione corretta, dormire bene, avere la testa libera da preoccupazioni di lavoro o famiglia e soprattutto assistenza. L’amatore romantico, che si allena quando capita, fa la gara iscrivendosi due giorni prima senza aver provato il percorso (quello che ha vinto la mia categoria pare che l’abbia provato tre volte nel corso di una mini vacanza in Trentino!), si alimenta con i ristori, è spacciato!
Tanto di cappello a chi si prepara meticolosamente: però lo sport deve dare emozioni, salute, non togliere tempo agli affetti, al lavoro ad altri hobby che danno più soddisfazione, tipo l’orto.
Cos’è un ripensamento sullo sport, dopo tanti anni che lo faccio, oppure solo la delusione per una classifica amara?
Diciamo che non mi sono completamente divertito e d è un peccato, perché un percorso simile, fino ai 2000 metri di Forcella Mendana, passando prima per forcella Lavoschio, si meriterebbe ben altra considerazione.
Organizzazione
La gara è una versione pompata della mitica 3T di Telve, gara nervosa su è giù per i sentieri della bassa Valsugana. NE hanno fatta di strada gli organizzatori, ma alcune cose andrebbero riviste: assenza totale di segnali per parcheggi, pasta party, docce, ufficio gare; pur conoscendo il posto mi trovo a girare per i vicoli di Telve sia prima sia dopo la gara; e non sono il solo, visto che ogni volta che incrociamo lo sguardo ci si domanda “Dov’è il pasta party?”. Pasta party buono, con una ragù vero e posate e stoviglie compostabili.
Percorso
Primo giro intorno a Telve per scremare il gruppo: secondo me inutilmente complica le cose, perché i pezzi sono stretti e non si riesce a superare: se fossimo partiti dalla rotonda in fondo al paese ci sarebbe stata più possibilità, passando lo stesso in centro al paese, peraltro molto sonnacchioso alle 8:30 e non proprio coinvolto dell’evento. Poi si sale la bella salita dei Masi di Carzano fino a S. Antonio, quindi lunga salita pedalabile verso Calamento: qui si scatenano gli stradisti, ed è difficile anche stare a ruota; poi magicamente, appena siamo sullo sterrato, recupero senza sforzo posizioni. Si sale verso Musiera, poi deviamo per il Marathon verso forcella Lavoschio: qui le gambe cominciano a girare meglio , molo Vittoria recuperata dopo 40 minuti dal via (partiva in prima linea) e sul bel sentiero finale anche alcune posizioni. Allo scollinamento trovo un inquietante cartello “Bici a mano”; il sentiero in costa è stretto sì, ma molto pedalabile mi stupisco, ma i tanti che ho davanti mettono il piede a terra; uno addirittura riemerge dai mughi con la bici in mano. Girato il costone siamo sui prati del mone Ciste: si scende su una strada ripidissima cementata, dove i freni fischiano; l’impegno è veramente il massimo per non bruciare le pastiglie; saprò poi che Dino, il mitico triathleta veneto con cui battagliavo agli XC running, farà un dritto per i freni bolliti. Ci si immette sulla seconda salita in località Stallon; guardo il computer e dopo 30 km siamo già a 2000 metri di dislivello, e adesso arrivano le rampe più dure: recupero un po’ di posizioni e trovo Dino, dolorante ancora per la caduta. Arrivato a Malga Sette Selle comincia di nuovo lo sterrato e il sentiero finale: qui inaspettatamente trovo il mitico ZampaRob che mi da una borraccia con tanto di gel, che però mi esce dalla tasca. La successiva discesa da Malga d’Ezze è tremendamente scassata; mi impegno il possibile per cercare di mollarla galleggiando sui sassi, superando di volta in volta persone con una ruota o un copertone in mano. “Però se la molli in discesa!” mi dirà Dino alla fine. In fonod un altro risorto, però solo con acqua e banane; orse un po’ scarsino.
Si riprende a salire fino a Musiera, dove troviamo un altro ristoro con acqua e banane; i team seri invece hanno le aree tecniche piene di aiutanti con borracce fresche e gel. Quando passiamo noi, amatori all’ultimo stadio delle fatiche ormai sembrano stanchi più di noi: cerco di ravvivarli chiedendo se sono a un funerale oppure a un Campionato Italiano; qualcuno si risveglia dal torpore e prova un applauso.
La discesa da Musiera è entusiasmante, però estremamente scassata; anche qui attenzione al massimo, si fa fatica anche in discesa: polsi e schiena cominciano a bruciare più dei quadricipiti; anche qui poc gente lungo il percorso, del resto sarebbe quasi impossibile tenere sotto controllo tutto!
Rientrati a Telve l’amara sorpresa: quelle che dovevano essere due denti si rivelano due salite micidiali: la prima, della Ziolina (nessun cartello con lunghezza e dislivello, dopo 4 ore di gara anche la memoria fa difetto), è un’infame ripida strada sterrata al sole, dove comincio a rallentare; arrivato a Telve di sopra cominciamo a girare come i criceti per poi affrontare una nova discesa molto impegnativa, con tanti sassi poco segnati: qua forse ci sarebbero volute più persone. La successiva salita dietro al castello è veramente infame; un acciottolato rotto e con scalini che sancisce la mia fine sportiva; vengo recuperato da Dino e da almeno altre 20 persone: anche nella successiva discesa non spingo più di tanto, stufo di continui bivi a destra e sinistra, e quando vedo il cartello dell’ultimo km quasi non ci credo. Abbozzo uno sprint con l’utlimo avversario di giornata e perdo anche questa piccola sfida.
In realtà pensavo di stare sotto le 5 ore, di fare almeno i 15 km/h di media; obbiettivo quasi raggiunto, ma on sono nemmeno entrato nei 10 di categoria, che batosta!
Sicurezza
Il percorso non era assolutamente pericoloso: però poco segnalato e poco presidiato, soprattutto in punti un po’ delicati: il traverso del Coston del Ciste, la discesa di Malga d’Ezze, la discesa da Musiera. I sentieri erano stati sfalciati, ma parecchi sassi non erano segnati, soprattutto nel bosco. Punti dove una caduta può rivelarsi problematica.